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Il lavoro si concentra sul concetto di 'earned citizenship', come tecnica per governare la libera circolazione delle persone all'interno dei sistemi di welfare statali con risorse sempre più limitate. L'autrice analizza alcuni leading cases riguardanti la figura del cittadino europeo economicamente inattivo, ma che pretende l'accesso a programmi di assistenza sociale, pensionistica o altro, per evidenziare come sia stata costruita nella giurisprudenza della Corte di Giustizia l'idea che la cittadinanza sociale vada guadagnata e con essa i diritti sociali, ove il cittadino, esercitando la libertà fondamentale di circolazione, decida di spostarsi da uno Stato membro all'altro. Nella parte conclusiva, alla luce di alcune riflessioni critiche sull'approccio tenuto negli ultimi dieci anni in Europa, si propongono alcune direttrici di intervento costituzionalmente orientate e in controtendenza.